Valdo Spini: “L’onda sovranista? Non l’ho vista”
Valdo Spini: “L’onda sovranista? Non l’ho vista”
Spini, non vogliamo farla passare per un reduce: ma lei non rimpiange il buon tempo antico?
“Vede, la politica per me è passione. La politica sia quel che è: lo strumento supremo di mediazione tra istituzioni e cittadini”.
Bellissimo. Intanto, però, la gente si è stufata e vota per chi promette cose concrete…
“Mah… tutta quest’onda sovranista non l’ho vista in Europa”.
Beh, le sinistre non hanno fatto granché…
“Bisogna distinguere caso per caso. In Spagna hanno fatto eccome. In Portogallo anche. In Olanda… e poi ci sono i Verdi con il loro consenso tra i giovani. Segno che i giovani guardano a quelle esperienze perché hanno a cuore il futuro, il loro futuro. E noi dobbiamo cogliere appieno questo messaggio”.
Sì, però…
“Un momento, mi faccia finire. L’onda sovranista non è stata così alta. La famiglia europeista ha ancora molto da dire. E da governare. Non basteranno popolari e socialisti? Va bene. Ma ora dobbiamo pensare in concreto. E dire che la partita della governabilità si gioca a quattro. Entrano in gioco anche i liberaldemocratici dell’Alde e i Verdi».
Perché ha votato Pd?
“Perché credo che questo partito debba essere ascritto alla famiglia socialista. Io non ho partecipato alla fondazione dei dem. E ne rivendico ancora il merito. Anche perché non capisco questo non volere la parola ‘socialista’ e declamare quella di ‘democratico’. Tralasciamo questo aspetto, comunque. Il Pd ha bloccato una deriva molto negativa. Però deve giocare più all’attacco. Aprire le sue liste. Se no, una lunga vita all’opposizione è assicurata».
Insomma, la solita solfa della corsa al centro.
“Ma nemmeno per idea. Funziona molto di più l’identità. Guardate a destra. Va bene o vince chi si occupa della società. Però la destra se ne occupa male. Ci sono un ceto medio radicalizzato e una classe operaia nel caos, che sente i migranti come concorrenti. Aggiungiamo la crisi del berlusconismo e si capisce perché parlare di ‘centro’ come luogo privilegiato della politica non vada bene, per usare parole gentili”.
In conclusione: ma non è che avete sottovalutato la formazione delle classi dirigenti?
“Forse. Un dato mi par chiaro: i canali di comunicazione tra politica e cultura vanno aperti. Bisogna che quel che resta dei partiti, la vera scuola di politica dell’Italia repubblicana, torni a vivere. E a parlare con associazioni, fondazioni, circoli culturali, ovvero con tutti i momenti di aggregazione e riflessione della società civile”.
Insomma, studiare serve.
“È fondamentale”.