Roma, 16 aprile – Una e plurale. L’Italia della cultura
Martedì 16 aprile 2013 alle 17.30 a Roma, presso la Sala conferenze della Fondazione Basso (via della Dogana Vecchia 5) Valdo Spini, presidente dell’AICI, introduce la presentazione del volume “Una e plurale. L’Italia della cultura”, a cura di Lucia Zannino (Viella, 2013).
Intervengono Giuliano Amato, Gerardo Bianco, Flavia Nardelli, Giacomo Marramao, Franco Salvatori.
ll volume è stato curato da Lucia Zannino, la Segretaria generale dell’AICI scomparsa lo scorso 14 marzo, cui la manifestazione è dedicata.
“Una e plurale. L’Italia della cultura” raccoglie gli atti dell’omonimo convegno dell’Associazione Istituzioni culturali italiane (AICI) tenutosi in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.
Precedentemente si svolgerà l’assemblea generale della stessa AICI cui aderiscono 97 tra Fondazioni e Istituti Culturali Italiani.
IL TESTO DEL DISCORSO DI VALDO SPINI
Il convegno “Una e plurale. L’Italia della cultura” (Roma, Complesso dei Dioscuri, 22 – 23 settembre 2011) e la pubblicazione dei relativi atti in questo volume sono tutte realizzazioni del periodo precedente alla mia assunzione della presidenza dell’AICI. Ne ringrazio il mio predecessore, il prof. Franco Salvatori che prenderà la parola dopo di me. Sono altresì il risultato dell’opera intelligente e appassionata di Lucia Zannino, la nostra segretario generale, scomparsa un mese fa. La correzione delle bozze di questo volume è stato il suo ultimo dono alla nostra Associazione. Elena Paciotti, che ha condiviso con me l’idea di questa iniziativa, le mostrò proprio durante il ricordo che abbiamo fatto di lei. Senza di lei, iniziative come queste non sarebbero state portate avanti, senza il suo impegno l’ AICI non sarebbe quella che oggi è, un’associazione che raggruppa quasi cento enti culturali italiani e vive di una vita associativa intensa e feconda. Per questo abbiamo voluto porre la presentazione del volume come manifestazione in onore di Lucia Zannino e che prendessero la parola le persone che avevano collaborato nell’associazione direttamente con lei. Il convegno dell’AICI era stato organizzato in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, come contributo dell’Associazione a queste celebrazioni. Abbiamo quindi chiesto al presidente di quelle celebrazioni, Giuliano Amato egli stesso amico ed estimatore di Lucia, di portarci il suo intervento e le sue valutazioni.
L’AICI ha certamente funzione di “cartello” delle istituzioni culturali italiane che vi si sono volontariamente associate e vive con loro i difficili momenti che stiamo attraversando dal punto di vista economico e occupazionale. Organizza come meglio può le loro legittime istanze e rivendicazioni. Ma in nessun caso può limitarsi a questo compito: l’Aici non è soltanto un’associazione di istituzioni culturali, è essa stessa un’associazione culturale. La sua realtà associativa, certamente nel pluralismo e nella profonda differenziazione delle ispirazioni e delle esperienze, deve saper esprimere un contributo, dialettico ed aperto alla cultura italiana, in particolare nel senso di costituire un fecondo momento di collegamento tra la cultura del nostro paese e la sua società nelle diverse articolazioni di società politica, civile e produttiva.
Con Lucia, durante la mia presidenza abbiamo realizzato altri due convegni: l’uno alla Camera dei deputati il 2 ottobre scorso sul tema “Politica e cultura. Un divorzio?”.e l’altro, l‘8 ottobre, presso l’Istituto Luigi Sturzo, “ Il ruolo degli Istituti di cultura italiani nella prospettiva della Strategia Europea 2020”. Tematiche, credo, estremamente significative.
Di ambedue abbiamo compiuto la sbobinatura e ci proponiamo di offrirli il prima possibile alla lettura in una pubblicazione organica.
Il volume che presentiamo oggi pubblica la maggior parte degli interventi al convegno. Dopo i saluti di Maurizio Fallace, Luciano Scala e Franco Salvatori, introdotte da Sergio Scamuzzi vi sono due articolazioni della tematica. La prima, “L’Italia. Sorgenti ideali. Le culture politiche” presenta i contributi di Pierluigi Ciocca, Pino Ferraris (purtroppo recentemente scomparso), Carlo Galli, Francesco Malgeri, Guido Pescosolido, Giuseppe Tamburrano, mentre la seconda, “Le Italie. Identità, differenze, articolazioni” (a sua volta divise in due parti) presenta contributi di Massimo L. Salvadori, Sergio Conti, Stefano Musso, Federico Butera, Gerardo Bianco, Michele Ciliberto, Giovanni Paoloni e Frederick Lauritzen.
I titoli di queste due sezioni sono già di per sé emblematici: si passa dalle culture politiche che hanno fatto l’Italia, alla discussione, più contemporanea, delle Italie considerate al plurale. E’ il sintomo dell’atmosfera in cui si sono svolte le celebrazioni del centocinquantesimo.
Impossibile parlare di tutti i contributi: mi limiterò quindi a tre citazioni. La prima: per fare mia come presidente dell’AICI l’affermazione di Carlo Galli a pag.38 e cioè che il nostro mestiere è: “…riportare alla luce la cultura politica nella sua complessità plurale, nella sua dialettica, nella sua serietà.” La seconda, come ex allievo dell’economista Giacomo Becattini, di quanto si legge nell’intervento di Federico Butera a proposito dell‘interscambio di cultura tra impresa e territorio: la cultura, per la prima, non è più un’aggiunta, un comportamento illuminato: “ ma (è) la natura stessa dell’impresa come cultura che genera conoscenza e valori per sé e per il paese.” (pag.102). Così è, e così dovrebbe essere. La terza è in realtà un’osservazione storica personale: a pag. 134, nella “Italia delle Religioni”, a proposito dei Valdesi, Frederick Lauritzen parla della celebrazione nel 1889 del bicentenario del loro “glorioso rimpatrio” nonché della legge sui culti ammessi del 1929-30. Credo opportuno aggiungere un riferimento alle “Regie Lettere Patenti“ del 17 febbraio 1848 con cui Carlo Alberto concesse i diritti civili ai Valdesi e che si estesero via via in tutto il territorio nazionale man mano che andava avanti il processo di unificazione, in quanto attestazione evidente dell’interconnessione profonda che vi è stata tra unità nazionale e libertà religiosa.
Ma torniamo al tema generale.
Quando si è celebrato il centenario dell’Unità d’Italia, nel 1961, avevo quindici anni. Posso ricordare che il clima generale, nonostante gli evidenti problemi e le evidenti contraddizioni, era un clima tutto sommato soddisfatto per le acquisizioni compiute e proteso sul futuro per cercare di costruire la soluzione agli squilibri geografici, sociali e settoriali che avevano accompagnato la costruzione dell’Italia Unita. Il centocinquantesimo vedeva invece la presenza di correnti critiche se non contestative dello stesso processo unitario. Da questo punto di vista, e ne dobbiamo ringraziare il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Il Presidente del Comitato per le celebrazioni Giuliano Amato, e tutti gli altri protagonisti di questa vicenda di avere sostanzialmente “vinto” la battaglia delle celebrazioni. Le contestazioni dell’evento sono state sostanzialmente marginalizzate e, sia pure in modo critico, il processo unitario ne è uscito convalidato, nel nuovo quadro in cui si colloca e che al tempo stesso lo supporta, ossia quello europeo.
Oggi 16 aprile 2013, presentando questo volume, bisogna ammettere che abbiamo per le sorti del nostro paese più preoccupazioni e non meno preoccupazioni di allora. E non tanto, com’era un tempo, per una possibile secessione, quanto per una recessione in atto, non solo economica ma civile e sociale. Il paese è profondamente diviso politicamente, in difficoltà economiche profonde, socialmente azzoppato per la crisi, in particolare, dell’occupazione giovanile.
La palla torna alla politica.
Dopo aver tanto discusso di premierato, riscopriamo che un grande compito spetta al Presidente della Repubblica cui la Costituzione Italiana ha conferito un ruolo di particolare stabilità: una durata che oltrepassa l’arco di vita di una legislatura parlamentare, la possibilità di sopperire con la sua iniziativa ad una mancanza di chiare indicazioni di maggioranza parlamentare, quella nomina del Presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri che può essere in taluni momenti una doverosa presa d’atto della realtà, ma in altri un potere di iniziativa che incide sulla realtà politico-istituzionale stessa.
Si è molto parlato della funzione di garanzia del Presidente della Repubblica: garanzia dell’osservanza della Costituzione, garanzia della partecipazione di tutte le forze politiche al processo politico del paese e così via. Tutto questo è molto giusto Presentando questo volume alla vigilia della convocazione del parlamento, integrato dai rappresentanti delle regioni, per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, mi permetto di lanciare un appello perché il Presidente della Repubblica che verrà eletto sia anche garanzia di quel processo riformatore che è necessario per riavvicinare le cittadine e cittadini italiani alla politica e alle istituzioni, obiettivo che tutti dobbiamo considerarci impegnati a perseguire.
Roma 16 aprile 2013.