“Politica e cultura: un divorzio?” – L’intervento di Valdo Spini
Martedì, 2 ottobre alle 16, nella Sala della Regina della Camera dei Deputati, a Palazzo Montecitorio, si è svolta la tavola rotonda Politica e cultura. Un divorzio?, organizzata dall’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane (Aici), con la partecipazione di Marc Lazar (Centre d’histoire de sciences politiques, Parigi e Luiss Guido Carli, Roma), Mauro Magatti (Università Cattolica Sacro Cuore), Giacomo Marramao (Fondazione Lelio e Lisli Basso e Università Roma Tre), Antonio Polito (“Corriere della Sera”), Nadia Urbinati (Columbia University, New York), Giuseppe Vacca (Fondazione Istituto Gramsci), e il coordinamento di Stefano Folli (“Il Sole 24 Ore”).
IL Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha inviato questo messaggio:
Questo l’intervento introduttivo di Valdo Spini, Presidente dell’Aici
Non possiamo rimanere silenziosi di fronte al vero e proprio dramma che si sta consumando nella politica e tra la politica e le cittadine/i, tra partiti e il loro personale politico in un avvitarsi di vicende di crisi della politica e di fatti di corruzione e malcostume che hanno creato sconcerto, disillusione e scetticismo, se non repulsione.
Siamo convinti che non ci sia reazione adeguata a tale situazione senza e al di fuori di una nuova presa di coscienza culturale.
Come Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane (AICI), abbiamo allora deciso di chiedere al Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ospitalità per dibattere nella sede solenne della Camera dei Deputati questi problemi in modo pluralistico e da vari punti di osservazione. Ringraziamo il Presidente Fini per avere reso possibile questo incontro con la sensibilità e l’apertura che gli è propria.
Voglio ricordare che anche il Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura (Cric) vuol far pervenire la sua adesione.
Avremmo potuto limitarci, come segno dei tempi, a una denuncia delle insostenibili condizioni materiali cui sono costrette i nostri Istituti e le nostre Fondazioni. Queste peraltro non sono difficili da immaginare. Abbiamo voluto invece fare qualcosa di più e di meglio: provocare nel palazzo di Montecitorio, quello che riteniamo, malgrado tutto, il tempio della democrazia italiana, un dibattito spregiudicato sull’argomento del rapporto tra politica e cultura. Non riteniamo di esaurire il problema con questa iniziativa: speriamo piuttosto di buttare il classico sasso nello stagno in modo da provocare tanti cerchi concentrici di ulteriori dibattiti e prese di coscienze.
I partiti della prima Repubblica avevano una forte radice ideologica, (se non addirittura etico-religiosa) e quindi una spiccata dimensione culturale. Vogliamo ricordare, ai tempi della Assemblea Costituente, il valore formativo della Comunità del Porcellino riunita intorno a Giuseppe Dossetti.
Ma talvolta, la cultura diventava il terreno di una vera e propria lotta politica.
Ricordo per diretta esperienza il dibattito aperto da Norberto Bobbio in Mondoperaio su “Il marxismo e lo Stato”o il “Dibattito ideologico” aperto da Bettino Craxi con il suo “Vangelo Socialista”, che si proponeva di operare una scissione del binomio socialismo-marxismo.
Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi. I convegni di San Pellegrino della Dc, i convegni del Gramsci sulla sinistra e le tendenze del capitalismo, i convegni delle sei riviste Mondo, Espresso , Il Ponte etc all’inizio degli anni ’60, il dibattito sull’evoluzione del pensiero liberale, la peculiare dimensione culturale della ricerca della destra italiana e così via, senza dimenticare il significato politico di quel libro che, come sottolineava orgogliosamente Sandro Pertini, i vecchi socialisti volevano nel loro simbolo insieme alla falce e al martello.
La cosiddetta “seconda Repubblica” e il nuovismo che si portava dietro spazzava via buona parte di tutto questo. Ma in realtà il discorso è più complesso. E’ lo stesso modo di comunicare, anche televisivo, con lo spazio crescente che assumevano momenti di volgarità e di qualunquismo, che restringeva la trasmissione di questo patrimonio culturale alle nuove generazioni.
L’aspirazione ad un regime politico bipolare, se non addirittura bipartitico, avrebbe dovuto portarsi dietro, se non altro, per simmetria anche i caratteri di un modello culturale anglosassone, statunitense o inglese, e quindi l’ispirazione ai relativi filoni ideologici e culturali. Ma troppo diversi erano i valori e i principi che fungevano da collante sociale e culturale nel nostro e negli altri casi per consentire che un’operazione culturale del genere avvenisse e di fatto non è avvenuta.
Ora che anche la seconda Repubblica ha visto l’incapacità dell’attuale sistema maggioritario di assicurare di per sé coalizioni coese e quindi governabilità, ora che ci si affaccia a scrutare un possibile ritorno al proporzionale o magari a un ircocervo dei vari sistemi, tipico dell’arte italiana del compromesso, è legittimo chiedersi quale sarà il substrato culturale di questa nuova fase della politica italiana che potremmo chiamare per intendersi “terza Repubblica”.
E’ un continente relativamente sconosciuto. Non potrà che essere diverso da quello dei vent’anni della seconda repubblica, ma certo non potrà trattarsi nemmeno di un heri dicebamus , di un ritorno al passato.
Se torneremo al proporzionale, le forze politiche avranno la struttura e l’attrattiva ideologica di quelle del primo sessantennio di vita repubblicana? Sapranno adeguarsi ai nuovi filoni culturali che scaturiscono dai nuovi problemi della società moderna? E nello stesso tempo guardare all’Europa dove la struttura delle forze politiche ha ormai preso una certa forma che se non altro, permette a popolari e socialisti di dare un assetto di una certa stabilità alle istituzioni politiche europee?
Le suggestioni possono essere tante, il rapporto tra etica ed economia e il rapporto tra etica e politica innanzitutto.
In merito al primo, basta ricordare che il punto scatenante dell’attuale crisi economica e finanziaria è stata la vicenda dei mutui subprime negli Stati Uniti. Bene, i mutui subrprime erano dati non tanto sull’attesa che il prestito venisse restituito, ma sulla scommessa probabilistica dell’incameramento dell’immobile dato a garanzia. Quando la bolla immobiliare è scoppiata, il sistema è deflagrato con reazioni a catena che hanno investito duramente anche l’Europa. La dimostrazione che anche il capitalismo non può funzionare senza un’etica, come scrisse a suo tempo Max Weber.
Dal punto di vista del rapporto tra etica e politica, gli scandali della prima Repubblica, in buona parte dovuti al finanziamento illegale dei partiti, impallidiscono di fronte ai ladrocini privatistici(anche fantasiosi) che stanno caratterizzando il tramonto della seconda. Viene in mente la caduta dell’Impero romano, quando gli ultimi imperatori si contendevano l’investitura a suon di soldi, a beneficio delle truppe mercenarie che dovevano sostenerli.
Non vorrei dire che tutto questo è figlio della carenza culturale dei partiti, ma certo è figlio del venir meno di quel controllo sociale che scaturiva dall’idea di partecipare ad una comunità di valori, di ideali e di programmi.
Pure, come dicevo, il presente è pieno di nuove suggestioni culturali. Dalla rivoluzione femminile, alla crisi delle giovani generazioni, all’affermazione dei problemi dell’ambiente sia sul piano planetario (cambiamenti climatici) che sul territorio (qualità della vita), la necessità di “recuperare” la democrazia non solo a livello statuale ma a livello europeo ed internazionale. Non solo, ma i problemi del nascere e del morire, che per quanto problemi di etica hanno un inevitabile riverbero politico. La globalizzazione mette poi a diretto contatto religioni e culture che precedentemente erano oggetto di studio e di curiosità a distanza. E’ l’idea stessa dello Stato che è stata poi messa in causa.
Molto spesso assistiamo a clamorosi ritardi delle forze politiche su questi terreni, spesso colmati dalla mobilitazione emotiva contro questo o quel personaggio, contro questa o quella ideologia novecentesca, o contro questo o quel moloch dell’attualità italiana, cercando di coagulare in “anti” qualcuno o qualcosa quello che non si riesce coagulare in “a favore” di qualcuno o qualcosa. Una sorta di “tifo” politico.
Il ritardo nella comprensione della crisi finanziaria ed economica, e la gravità della medesima nelle concrete condizioni italiane non ha provocato un governo di unità nazionale come quello Churchill-Attlee, conservatori-laburisti nella Gran Bretagna della seconda guerra mondiale, quanto piuttosto un governo “tecnico” nel senso che la condizione per essere chiamati a parteciparvi era quella di non avere ricevuto investiture politiche in consultazioni elettorali. Un governo insomma che si è presentato come soluzione di continuità rispetto all’ attuale sistema politico anche se dotato di una larga maggioranza parlamentare in questo sistema politico.
Se la politica secondo Aristotele è l’arte del governare, e se la cultura, come sottolinea Edgar Morin, è “ l’insieme di abitudini, costumi, pratiche, …, saperi, regole, …., valori, miti che si perpetua di generazione in generazione,” cos’ è successo?
E’ la nostra cultura che ha prodotto questa crisi del modo di governare o si è verificato un distacco tra i soggetti della politica,considerata arte del governare, e la nostra cultura?
Emerge allora la necessità di prendere in considerazione in tutti i suoi aspetti le fondamenta di un problema così grave, che ha portato uno dei partecipanti alla nostra tavola rotonda, Antonio Polito, a parlare di “anno zero dei partiti” (Corriere della Sera, 23 settembre 2012).
Non basta per affrontare una tale drammatica situazione né l’appello all’età anagrafica, né il richiamo alle posizioni consolidate, per quanto ben intenzionati ambedue questi richiami siano. Ogni rinnovamento reale cui abbiamo assistito partiva da un rinnovamento del cervello, delle idee, cioè della cultura intesa come capacità critica di capire e vivere le contraddizioni ma anche le opportunità del nostro tempo. E’ da questo substrato che scaturiscono poi le proposte politiche destinate ad affrontare i problemi concreti della realtà.
L’anno prossimo, 2013, sarà il V Centenario della stesura de Il Principe di Niccolò Machiavelli. Un italiano che ha fondato o, a seconda dei punti di vista, rifondato, la Scienza Politica moderna. Un libro tra l’altro che, insieme a Pinocchio dell’altro mio corregionale Carlo Lorenzini (Collodi), è il libro italiano più tradotto nel mondo. Non si tratta di un riferimento retorico o di maniera. Sappiamo che c’è anche il quadro di comodo di chi considera la cultura italiana come viziata da un machiavellismo deteriore, nel senso della ricerca del fine a tutti i costi. Ma sappiamo anche come Antonio Gramsci, che vedeva il partito come intellettuale collettivo, abbia definito il partito politico come un moderno Principe e che così in realtà è stato, nel secolo scorso. Oggi questo partito politico “moderno principe” è venuto, sia pure in modo differenziato e articolato, in buona parte meno e navighiamo in mare aperto. Chi sarà il nuovo principe?
Il “moderno principe”, se posso azzardare una risposta a questo interrogativo, non è e non può più essere il partito come nel Novecento. Il “moderno principe” non può che essere l’affermazione di un’etica della responsabilità collettiva che sappia coinvolgere sia la società civile che quella politica. Dobbiamo averne tutti la consapevolezza. Può darsi che il sistema dei partiti si rifondi e si rimodelli con riforme istituzionali ed elettorali adeguate, può darsi invece che si vada a un rapporto più diretto tra istituzioni democratiche e società civile, con partiti più leggeri. In ogni caso la cultura, intesa alla Edgar Morin, come insieme di valori e principi, saperi e regole, costumi e abitudini rappresenterà un collante etico e sociale ineliminabile nella nuova fase politica e istituzionale che siamo chiamati ad attraversare.
Dobbiamo averne tutti consapevolezza.
Occorrono gesti forti sul piano della riforma nel senso della pulizia e della trasparenza . Ma occorre anche riattivare un dibattito culturale, un’analisi approfondita di quello che è successo e di quello che sta succedendo. Ma soprattutto dobbiamo sostituire al “nuovismo” fine a se stesso una capacità di rielaborazione e di ripensamento delle nostre ispirazioni ideali e culturali collocate non in una monade italiana, ma in un quadro europeo ed internazionale che è sempre più determinante. Senza affrontare con impegno e con coraggio un’operazione del genere non usciamo da questa crisi della politica.
Proprio perché siamo a Montecitorio, ci sentiamo di dire con Orazio “de te fabula narratur”.