20 marzo – Sandro Pertini: dalla Resistenza al Quirinale
Martedi’ 20 marzo, presso la Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, si è svolto il convegno “Sandro Pertini: dalla Resistenza al Quirinale”, con la collaborazione dell’Associazione “Sandro Pertini Presidente”. Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha rivolto un indirizzo di saluto. L’intervento introduttivo è stato di Mario Almerighi.
Nella prima parte, “Le testimonianze”, hanno preso la parola Emilio Colombo, Sergio Flamigni, Arrigo Levi, Valdo Spini. Nella seconda parte, “Pertini, il rapporto con Roma e con le Istituzioni”, Alfredo Antoniozzi, Antonio Fiorella, Cesare Mirabelli. Nella terza parte, “L’attualita’ di Sandro Pertini”, Antonio Ghirelli, Pier Ernesto Irmici, Andrea Manzella, Carlo Mosca. Ha concluso Adelmo Manna. L’appuntamento è stato trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio (http://webtv.camera.it).
Questo il testo dell’intervento di Valdo Spini:
Passano gli anni, si susseguono i secoli e molti uomini politici di grande rilievo della storia del socialismo italiano, che ne hanno magari guidato o ispirati i partiti, non sono sostanzialmente più conosciuti o ricordati dal grosso dell’opinione pubblica. E’ la dura, anche se dolorosa, legge della storia. Direi che Sandro Pertini , nato nel 1896, cioè addirittura nel XIX secolo, costituisce anche in questo campo una felice eccezione alla regola. L’opinione pubblica italiana continua a ricordare Sandro Pertini come un grande Presidente della Repubblica e come una grande coscienza di socialista onesto le cui vicende vanno aldilà di quelle organizzazioni umane forzatamente transeunti che sono i Partiti. E’ giusto sottolinearlo in questo anno 2012, che è anche il centoventesimo anniversario della nascita del PSI: ricordare Sandro Pertini è ricordare il frutto migliore della tradizione del socialismo italiano.
E come potrebbe essere altrimenti: la medaglia d’argento nella prima guerra mondiale; i quattordici anni passati tra carcere e confino durante il regime fascista e proprio nel periodo della sua gioventù, cioè tra i suoi trentatre e i suoi quarantasette anni; la medaglia d’oro della Resistenza; la lunga attività di dirigente socialista;la Presidenzadella Camera dei Deputati;la Presidenzadella Repubblica. Un uomo di una tempra d’acciaio, che mai disperò o abiurò la sua fede durante i lunghi anni delle sofferenze nel carcere e nel confino. Ma soprattutto un uomo capace di comunicare con grande immediatezza il suo patrimonio di valori e di vita, il suo patrimonio di una bella politica, fatta di impegno e di sacrificio, di fede e di passione , di trasparenza e di onestà, non solo alle donne e agli uomini del suo tempo, ma anche alle giovani generazioni, alle stesse scolaresche, che hanno conservato un ricordo indelebile di quegli incontri settimanali al Quirinale cui Pertini teneva tanto.
La testimonianza che posso recare, essendo stato eletto deputato nel 1979, cioè l’anno dopo la sua elezione alla suprema magistratura della repubblica, è soprattutto su Sandro Pertini Presidente. Sì, avevo avuto modo di incontrarlo anche prima, nella sua veste di personaggio amato ma scomodo. Ricordo- ero allora molto giovane- che i lavori del congresso del PSI di Genova del 1972, iniziarono con la celebrazione dell’ottantesimo anniversario della nascita del partito socialista, che era avvenuta proprio in quella città. La lambiccata liturgia della burocrazia di partito non aveva previsto un suo intervento. Lui non se ne fece né in qua né in là: conquistò il microfono, disse che portava il saluto dei socialisti della Liguria, ricordò il grande merito storico della formazione del Partito Socialista cioè di avere trasformato quella che era nient’altro che una plebe disorganizzata in un vero e proprio popolo capace di rivendicare con maturità i suoi diritti e concluse il suo discorso tra gli applausi scroscianti dei delegati entusiasti.
Ma torniamo al Pertini Presidente: questi mi onorò della sua confidenza e della sua amicizia, in particolare quando, nel1981, atrentacinque anni, diventai uno dei due vicesegretari del partito socialista italiano e mi invitò più volte al Quirinale per dei colloqui memorabili sulle vicende politiche di allora, senza risparmiarsi quei suoi giudizi taglienti su uomini e cose che formavano talvolta la delizia ma qualche volta anche il terrore degli uomini politici del tempo. Fu grazie ad una sua telefonata di rallegramenti per la mia rielezione a deputato il martedì successivo alle elezioni politiche del 1983 che potei annunciare per primo a Bettino Craxi che l’analisi che Pertini faceva del risultato elettorale lo portava a prevedere il conferimento allo stesso Craxi dell’incarico di formare il nuovo governo (cercate però – fu il suo suggerimento- di non avere contro i comunisti!). Mi trovavo in quel periodo in grande sintonia con lui. E quando, nell’ottobre del 1984, non fui più confermato alla vice segreteria del partito, egli volle ricevermi e rilasciare un comunicato stampa, dandomi così un segnale di stima e di affetto che in quel momento mi confortò non poco e che tuttora mi commuove.
L’analisi del ruolo di Sandro Pertini presidente mi consente di sfatare un luogo comune: quello di un Pertini coraggioso e generoso ma sprovvisto di quello che veniva definito superficialmente “senso politico” Insomma un uomo tutto fede e passione piuttosto che un analitico e freddo ragionatore. Sì, è vero, Pertini era alieno da quelle raffinate sottigliezze che erano tipiche del sistema di coalizioni, partiti e correnti proprio della prima repubblica, ma aveva una sua visione e una sua linea politica ben precise.
Subito dopo i funerali di Enrico Berlinguer, che furono al tempo stesso la più grande ma anche l’ultima manifestazione di potenza politica dell’allora Pci, andai a trovarlo al Quirinale. Pertini era stato particolarmente vicino alla tragica vicenda del malore e della morte del segretario del Partito Comunista Italiano. Aveva voluto portarne personalmente da Padova a Roma la salma sull’aereo presidenziale, “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”. così disse. Negli ambienti socialisti si brontolava su questa dimostrazione al tempo stesso di stima e di intimità, sia in considerazione dell’aspro scontro in atto sul decreto in tema di contingenza che il governo Craxi aveva emanato e che aveva trovato la più radicale opposizione dello stesso Pci, sviluppata in una campagna politica su cui lo stesso Berlinguer aveva profuso tutte, e purtroppo le ultime, sue forze sia perché si riteneva che il PCI stesso potesse avvantaggiarsi elettoralmente di queste dimostrazioni di stima e di affetto nelle elezioni per il Parlamento Europeo che si stavano avvicinando.
Pertini mi disse di essere consapevole di essere oggetto di queste critiche, si espresse in modo molto colorito su quelli che riteneva esserne i promotori, e poi mi disse.”Vedi Spini, c’era in me dell’affetto personale verso Enrico Berlinguer, oltretutto perché ero molto amico di suo padre, il deputato socialista Mario Berlinguer.” (Mario Berlinguer era stato prima esponente del Partito d’Azione e poi deputato del PSI per molti anni. Aveva anche svolto l’incarico di pubblico accusatore nel processo intentato nel 1944-45 di fronte all?alta Corte di Giustizia, in Roma da poco liberata, per l’assassinio dei fratelli Rosselli. Un uomo, quindi, della generazione di Pertini.)
Ma, aggiunse Pertini, il mio cordoglio per la perdita di Berlinguer ha un senso politico ben preciso: “Vedi Spini, aggiunse: io ho nominato presidente del consiglio Giovanni Spadolini, il primo laico nella storia d’Italia del dopoguerra dopo Ferruccio Parri: io ho nominato presidente del consiglio Bettino Craxi, il primo presidente del consiglio socialista nella storia d’Italia, rompendo il quasi quarantennale monopolio della Dc. Avrei voluto terminare il mio mandato portando il PCI al governo, in questo modo legittimandolo e avviando l’Italia sulla strada di una democrazia compiuta, cioè capace di alternanza . Sento –concluse Pertini – che con la sua scomparsa mi viene meno l’interlocutore necessario per questo obiettivo.” E non aveva certamente torto!
Da queste parole si può capire come in Pertini ci fosse un lucido disegno politico.
Egli era stato eletto Presidente nel 1978 a grande maggioranza dei voti nel parlamento Italiano grazie a tre fattori: 1) che si era nel periodo dell’unità nazionale e quindi occorreva un presidente capace di coagulare intorno a sé quell’ampia maggioranza; il secondo , che il PSI guidato da Craxi accettava di essere parte di questa maggioranza solo se il presidente fosse stato un socialista, il terzo era che Pertini, socialista di adamantina coerenza,aveva però sul caso Moro aderito alla linea della fermezza, dimostrandosi in questo autonomo dallo stesso Psi. Forse vi era anche un quarto motivo, (ma quest’ultimo doveva essere del tutto deluso) e cioè che avendo Pertini quasi ottantadue anni al momento delle elezioni , avrebbe potuto rappresentare un presidente debole , non capace di incidere sulle forze politiche e sui loro equilibri. E invece non fu così, anzi, fu proprio il contrario.
Pertini aveva peraltro piena coscienza, ancor prima della caduta del Muro di Berlino, che un sistema a democrazia bloccata non poteva funzionare. E cercava di condurlo già allora ad una transizione verso una democrazia “normale”. Ma il suo settennato durò fino al 1985 e bisognò aspettare il 1989 e la caduta del muro di Berlino perchè la tormentata transizione italiana incominciasse. In quest’ambito, egli guardava anche nella prospettiva storica ad una ricomposizione unitaria delle forze della sinistra. Per lui – e me lo riaffermò più volte- sentire Umberto Terracini, cioè un personaggio che a Livorno, nel 1921 la scissione comunista l’aveva fatta in prima persona, affermare a che a Livorno aveva invece avuto ragione Turati costituiva un motivo di autentica commozione e di speranza.
Ricordiamo che Pertini, eletto Presidente in una situazione drammatica dopo il delitto Moro e in seguito alle dimissioni di Giovanni Leone, si trovò di fronte al terrorismo politico da un lato, ad una catena di stragi e di attentati dall’altro, che delegittimavano oggettivamente le istituzioni e la loro forza, il loro prestigio. Egli seppe incarnare –lo ricordiamo alla stazione di Bologna – la volontà e la forza del paese di resistere , costituì proprio per la sua storia personale da un lato, e per la sua autonomia e indipendenza dell’altro, quel punto di riferimento cui tutto il paese poteva guardare con fiducia pur in situazioni veramente terribili. Non esitò, come in occasione del terremoto dell’Irpinia del 1980 a denunciare l’assenza e all’inefficienza dei pubblici poteri, dando in questo modo voce all’opinione pubblica che sentiva di avere in lui il suo avvocato e il suo patrono più efficace.
In questo senso Sandro Pertini seppe esercitare pienamente il ruolo e le prerogative che la Costituzione Italiana affida al Presidente della Repubblica. Un ruolo e delle prerogative che ha del resto esercitato con grande autorevolezza ed efficacia l’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Confesso che quando sento dire che la soluzione dei problemi politico-istituzionali italiani consisterebbe nella diminuzione dei poteri del Presidente della Repubblica e nell’ampliamento di quelli del Presidente del Consiglio provo un moto di disappunto e di contrarietà. Come non vedere che nella storia d’Italia , nella complessa e travagliata costituzione materiale del nostro paese, il Presidente della Repubblica, quando, come Sandro Pertini, sa essere il Presidente di tutti gli italiani gioca un ruolo assolutamente benefico e positivo per la nostra nazione? E penso allora a Sandro Pertini, a quell’uomo che non aveva dietro di sé un partito o una corrente, ma aveva una grande fede nell’idea socialista e nelle istituzioni democratiche repubblicane e una grande capacità di sintonizzarsi con le attese ed i sentimenti del popolo italiano, e mi chiedo se avrebbe potuto fare tutto quello che ha fatto se non avesse potuto esercitare quei poteri e quelle prerogative che la Costituzione gli conferiva. Aggiungo, per entrare nell’attualità: avrebbe potuto il Presidente Giorgio Napolitano procedere alla costituzione del governo Monti se fosse stato in vigore il premierato? Probabilmente no ed allora l’Italia si sarebbe trovata oggi in condizioni ben più difficili.
Il ricordo di Sandro Pertini costituisce quindi tuttora un riferimento di grande attualità sotto molti aspetti . La frase ricorrente con cui amava sintetizzare la sua visione del socialismo e cioè che non c’è socialismo senza libertà e che non c’è libertà senza socialismo, può apparire una frase tipica del ventesimo secolo e certamente in un certo senso lo è. Ma cerchiamo di trasportarla nel XXI secolo e nella crisi che stiamo vivendo. Una sinistra che non sia capace di incarnare il tema delle libertà non “sfonda” nella situazione attuale , ma una società che non sia capace di coesione non può realmente progredire. Una coesione che si raggiunge attraverso la condivisione di valori,di diritti, di metodi e di obiettivi. E questa è stata la grande passione dei socialisti della generazione di Sandro Pertini ma deve essere anche la passione di chi sente oggi gli stessi valori.
Concludo con un ricordo. Quando Norberto Bobbio fu chiamato a pronunciare un discorso in onore di Sandro Pertini, il grande filosofo politico mise a confronto le concezioni di Niccolò Machiavelli e quelle di Erasmo da Rotterdam. Per il Machiavelli il principe doveva eccellere nelle arti della golpe e del lione, della volpe del leone, cioè nella forza e nell’astuzia. Per Erasmo da Rotterdam invece il Principe, più precisamente Il Principe Cristiano nelle virtù, nella giustizia, nella magnanimità e nella temperanza. , concludeva Bobbio , Pertini era il Principe, era l’uomo di stato e il politico, in questa seconda accezione.
A distanza di tanti anni non possiamo che concordare con Bobbio: sì il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ha incarnato quelle che per Erasmo (e per lo stesso Bobbio) erano le virtù del Principe. E in questa luce ha bene meritato della Patria e lasciato un solco indelebile nella storia d’Italia.