Un articolo di Lorenzo Spignoli, sindaco di Bagno di Romagna
“Il Corriere di Romagna” del 18-12-2011 ha pubblicato questo articolo di Lorenzo Spignoli, sindaco di Bagno di Romagna (Forlì) Rubrica “Un pensiero dall’Appennino” ll bel tempo dobbiamo ricostruircelo di Lorenzo Spignoli Valdo Spini ha fatto qualche capello bianco (d’altronde anch’io), ma si mantiene sempre in buona forma. Stiamo gustando un piatto di tortelli cucinati come si deve, in compagnia di Alessandro e Valter, che più tardi presenteranno il suo ultimo libro. Era un bel po’ che non veniva dalle nostre parti. Scorriamo assieme il bel volume dedicato a Sasso Fratino, ricco dei testi di Claudio D’Amico e delle splendide foto di Andrea Barghi e ci lasciamo un po’ andare alle rievocazioni. Ricordiamo quel giorno del 1993 in cui lui, allora ministro dell’ambiente, venne a inaugurare il nostro parco nazionale. Camminammo a lungo fra i boschi prima di arrivare all’albergo Granduca di Campigna e c’erano, per l’appunto Andrea Barghi, e poi Cippo, Oscar Bandini, Giona, Tonino Teverini e altri ancora. Parliamo poi di Giorgio Ruffolo e Tristano Codignola, di Firenze e di ciò che le sta capitando ora, di Manara Valgimigli e di Mario Monti. Raccontiamo di noi, delle cose che ci sono successe, di come si sono snodati i nostri percorsi di appassionati della politica, in questo paese in cui la politica è andata a rotoli e non riesce più a parlare alla gente. Valdo sa di tutto e ha una memoria prodigiosa. Soprattutto apprezzo il suo sguardo ampio sul mondo, che gli conferisce la possibilità di una visione, di un’analisi se preferiamo, articolata e completa. I mille particolari, i frammenti e le schegge che corrono dovunque come impazziti, alimentando la confusione in molte teste, per lui confluiscono logicamente nell’unico grande fiume delle cose e delle idee. E della sua capacità di leggere e di decodificare. Fuori, San Piero è in balia della furia degli elementi. Il vento, incattivito, tira giù tegole dai tetti e abbatte alberi, danneggiando automobili e bloccando strade. L’acqua, grossa e fredda, viene giù a mastelli più che a catinelle. Lì per lì mi dico che con un tempo del genere non verrà nessuno all’incontro di stasera e mi rammarico per lui che si è messo a venire da Firenze fin qua, e poi per l’occasione sprecata. Invece no. Arriviamo al centro sociale ed eccoli lì che ci aspettano. Non sono tantissimi, ma ci sono, e daranno vita ad un dibattito ricco di spunti e interessante. Rifletto sul fatto che, in fondo, abbiamo lavorato molto alla riuscita della serata e che il lavoro fatto ne ha salvato il risultato. A volte, il bel tempo, occorre forse costruirlo anziché aspettarlo. Alessandro e Valter sono bravi pur nel veloce tempo a loro disposizione, poi Spini inizia parlando della Bolognina e di com’era il mondo vent’anni fa, ma è chiarissimo che parla di noi e di oggi, dei problemi che abbiamo e della crisi che stiamo vivendo. Dice che occorre separare l’economia dalla finanza e mi riporta alla mente la preveggenza di Turati che nel suo discorso “Rifare l’Italia”, pronunciato alla Camera il 26 giugno 1920, rivolto a Giolitti ammoniva: “…Ne viene che il rimedio primo, il più vero, vorrei dire il solo rimedio, è nel trasformare l’economia, non la finanza del Paese.” Eh, se i governanti del mondo di oggi avessero conosciuto questo ammonimento e avessero posto qualche steccato in più alla finanza e ai suoi killer! Un passaggio interessante del libro di Spini è dove lui scrive che molti problemi risalgono al momento in cui l’Italia ha firmato gli accordi di Maastricht (1992). Quella firma imponeva la fine di un certo modo di fare politica, cioè quello di cercare consenso dilatando la spesa pubblica. Invece l’Italia ha perpetrato fino ai giorni nostri quei dissennati comportamenti, ed eccoci alle condizioni attuali. Adesso bisogna ritrovare il bandolo della matassa. Concordiamo sul fatto che stiamo pagando il prezzo di una manovra necessaria ma non certo equa, rispetto alla quale il nostro realismo e il nostro senso di responsabilità devono tenersi ben saldi. L’unico significato che possiamo dare alla cosa è non restare fermi, ma creare da subito le mosse successive, da sottoporre al governo e da pretendere. Mosse che siano rivolte alla crescita, all’economia, alla produzione, al lavoro. Non potremo aspettare che vengano in mente a qualcun altro e che ce le servano. Naturalmente le grandi misure non possono che essere nazionali, se non addirittura di concertazione internazionale. Tuttavia, mi dico che, nel nostro piccolo, qualcosa possiamo fare anche qui. A partire dal prossimo bilancio di previsione del Comune, che certo sarà un bilancio di sacrifici, ma su cui possiamo anche pensare di cominciare a inserire il segno di un rinnovato impegno per riconquistare il bel tempo anche sul futuro della nostra collettività