Cosa vuole l’ARDeP
Pubblichiamo qui la presentazione della responsabile regionale dell’ ARDeP del Piemonte Anna Paschero al convegno del gruppo Spini per Firenze, come contributo al dibattito su questi temi.
L’ARDeP, Associazione per la Riduzione del Debito Pubblico, è un’associazione di volontariato, fondata il 20 dicembre 1993, in Campidoglio, a Roma, all’indomani della crisi finanziaria del Paese, scoppiata nel settembre del 1992. L’Associazione è apartitica, ha struttura democratica e non persegue fini di lucro.
Riconosciuto nel debito pubblico, per le dimensioni e per gli effetti deleteri che ha sulle possibilità di vita e di sviluppo del nostro Paese, un grande male comune, l’ARDeP ha assunto l’obiettivo di promuovere e favorire la riduzione di tale debito, attuando iniziative di studio, di informazione e di sensibilizzazione ai valori della solidarietà nazionale, europea e intergenerazionale.
L’avventura dell’ARDeP è nata come prima esperienza di “volontario fiscale”per merito del suo fondatore Luciano Corradini, in uno dei momenti peggiori della nostra storia economica recente: nell’autunno del ‘92, infatti, l’Italia rischiò la bancarotta e l’uscita dal Sistema monetario europeo anche per l’eccessivo debito pubblico (aveva raggiunto il 124% del pil). Momento non dissimile, per la sua drammaticità e portata da quello che stiamo vivendo in questi ultimi mesi. (oggi il debito pubblico ammonta a 1.947 miliardi di Euro ed è pari al 120,1% del PIL).
La convinzione che spinse a fondare l’ARDeP fu quella che il processo di risanamento finanziario dello Stato non poteva essere affidato solo agli economisti e ai tecnici del Governo e della Banca d’Italia, ma richiedeva invece una condivisione più larga che coinvolgesse tutti i cittadini.
Il lento e faticoso percorso di risanamento finanziario e il calo del debito avvenne, alla fine degli anni 90, anche perché attorno a questo obiettivo si era potuto costruire un consenso democratico, che ha avuto nel Presidente Ciampi e nel Presidente Prodi i suoi principali riferimenti istituzionali.
Oggi siamo alle prese con un’altra difficile crisi finanziaria ed economica, che sta colpendo tutto il mondo, ma che trova il nostro Paese particolarmente fragile proprio perché il risanamento dei conti pubblici non è stato completato e anzi il debito pubblico ha ricominciato a crescere.
La riduzione del debito rimane dunque un obiettivo cruciale per il nostro Paese e l’impegno dell’ARDEP è cresciuto nell’ultimo anno attraverso nuove esperienze con altre associazioni e gruppi di volontariato, soprattutto intorno al tema dell’evasione fiscale, che rappresenta la causa principale della crescita del debito nazionale, come già ribadito anche dall’attuale premier Monti.
Percorso che ha visto un primo importante momento di sintesi un anno fa, proprio in questa città con il Convegno “FISCO, EVASIONE, DEBITO PUBBLICO. TORNIAMO ALLA COSTITUZIONE” promosso dalle due associazioni di cui sono portavoce in Piemonte: l’ARDEP, e l’Associazione Articolo 53 (Salvatore Scoca – Meuccio Ruini), che sono presenti oggi a questo momento di confronto con il Gruppo Spini per Firenze.
Il Convegno dell’anno scorso, attraverso i diversi contributi, ha registrato, per la soluzione dei temi in discussione, proposte per il contenimento della spesa pubblica (in specie quella legata ai costi della politica), per il rispetto della Costituzione negli articoli 81 (ogni legge che comporti nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte) e 53 per il concorso di tutti alle spese pubbliche, per un’opera di educazione fiscale nelle scuole e nella società e per iniziative come quelle dell’ARDeP sul volontariato fiscale.
Oggi viene riproposto lo stesso tema con un’ulteriore attenzione sulla riforma tributaria, all’ordine del giorno del governo proprio in quest’ultima settimana con l’approvazione del disegno di legge sulla delega fiscale.
Personalmente credo che al di là delle buone intenzioni enunciate il disegno di legge sia ancora molto distante dall’apparire capace di correggere le attuali distorsioni che fanno del nostro un sistema iniquo, non rispondente al dettato costituzionale: di fatto viene persa, a meno di una radicale modifica da parte del Parlamento, l’occasione più importante per correggere una delle ingiustizie più evidenti: l’eccessivo peso fiscale mantenuto su lavoratori e pensionati anziché sui grandi patrimoni e rendite.
Richiamo alcuni dati comparsi sull’“Espresso” del 5 aprile scorso dal titolo “Se tutti pagassero- Senza evasione in dieci anni niente debito”.
“In Italia si evadono tasse per 180,25 miliardi. Il 20,8% di quelle di tutta l’Unione Europea, stimata in 864 miliardi. L’economista Richard Murphy, guru progressista delle tasse e direttore della Società di consulenza Tax Research, ha cercato di far capire la portata dell’emergenza, mettendo in relazione le “mancate tasse” con altre significative grandezze di bilancio a livello europeo e di ogni singolo Stato.
In Italia i 180 miliardi di tasse “perse” corrispondono al 228,2% della nostra spesa sanitaria, contro una media europea di 105,8. Non solo. Le tasse perse per l’evasione fiscale corrispondono al 23,8% dell’intera spesa del governo (17,6 la media UE) e il 27% delle entrate fiscali (22 la media UE). Un salasso. C’è di più: le tasse perse all’anno sono il 253,1% del deficit annuale.
Il che significa che solamente combattendo l’evasione si potrebbe in teoria più che ripianare il deficit e arrivare al pareggio di bilancio. E ci vorrebbero solo 10,2 anni se le risorse servissero ad abbattere il debito.
E’ chiaro che se Murphy avesse ragione dobbiamo, come e cittadini consapevoli, mettere al primo posto la riduzione dell’evasione fiscale, per ragioni economiche, sociali, civili e anche morali.
Ragione per cui l’ARDeP ha inserito nel suo pacchetto delle 10 proposte annuali per abbattere il debito pubblico la sua proposta di riforma fiscale in senso costituzionale, che sarà presentata al Presidente Monti.
Alla sua elaborazione è stato determinante l’apporto degli amici dell’Associazione Articolo 53 di Firenze, per il contributo di studio e di approfondimento della Costituzione e del suo lavoro preparatorio in sede costituente.
Permettetemi allora di presentarvi il progetto che troverete anche sul sito dell’ARDeP nella home page, chiamato “Un dono per l’Italia”.
Abbiamo voluto fare una premessa per illustrare I due principi fondamentali che riguardano la materia tributaria: la capacità contributiva e la progressività del sistema stabiliti all’art. 53 della nostra Costituzione:
Il primo afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”; il secondo che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Queste norme fondamentali sono inserite, non a caso, fra i diritti e i doveri dei cittadini, nella prospettiva degli artt.2 e 3 (diritti inviolabili e doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale), e sostituiscono la precedente formulazione contenuta nell’art. 25 dello Statuto Albertino, per il quale tutti i “regnicoli” “contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato”.
La differenza è rilevante, poiché il principio della progressività a cui deve uniformarsi il sistema fiscale, secondo l’interpretazione fornitane dall’on. Salvatore Scoca, relatore in sede di Assemblea Costituente per l’art. 53, è “più democratico, più aderente alla coscienza della solidarietà sociale, più conforme all’evoluzione delle legislazioni più progredite”.[1] In particolare la progressività, applicata ai tributi sul reddito o sul patrimonio, deve essere tale da correggere l’iniquità derivante dai tributi sui consumi: questi infatti, essendo calcolati in misura proporzionale, gravano con diversi effetti su cittadini che dispongono di diversa capacità contributiva. Sulla base di un’ipotetica aliquota del 10%, uguale per tutti, chi ha un reddito di 10 euro verserà un euro in tributi e disporrà di soli 9 euro per le spese personali e familiari; chi ha un reddito di 100 euro, ne verserà 10 e disporrà di 90 euro per spese, investimenti e risparmio.
Secondo lo stesso Scoca, “non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico deve provvedere”[2].
Quest’affermazione giustificava, secondo il relatore, lo sforzo, da parte dello Stato, di “tenere sufficientemente elevati i redditi minimi, per consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti e per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle stesse e all’aumento della loro capacità produttiva”.
La situazione attuale mostra invece un vistoso discostamento dal principio della progressività.
Il rapporto sulle entrate tributarie e contributive elaborato dalla Ragioneria Generale dello Stato il 12 gennaio 2012, rileva, in riferimento al mese di novembre 2011, accanto ad una diminuzione del gettito dei tributi diretti, un significativo aumento di quelli indiretti: di fatto i due gettiti si equivalgono dal punto di vista quantitativo. Si aggiunga che, secondo i dati resi noti dal MEF sulle dichiarazioni fiscali 2010, il gettito IRE proviene per il 93,72% da lavoratori dipendenti e pensionati, mentre solo il 6,28% di tale gettito proviene da altri contribuenti. La sperequazione è evidente, tanto più se si considera che, secondo la Banca d’Italia, il 10% delle famiglie italiane detiene il 45% della ricchezza nazionale, mentre il 50% delle famiglie italiane più povere detiene solo il 9,8% di tale ricchezza.
Questi effetti negativi, che sacrificano il principio della progressività, sono dovuti:
– alla tassazione separata, in misura proporzionale, di alcune componenti del reddito, come le rendite finanziarie, le rendite patrimoniali, dovute per esempio alla cedolare secca sulle locazioni, l’introduzione di addizionali locali che colpiscono in misura proporzionale il reddito imponibile;
– alla riduzione del numero delle aliquote e alla loro revisione in maniera inversamente proporzionale all’aumentare del reddito imponibile, nonché alla conseguente riduzione dei relativi scaglioni di reddito. Si è passati dalle 32 aliquote e dai relativi scaglioni di reddito previsti dalla legge delega 825/1971 (che andavano dal 10 al 72%), alle attuali cinque aliquote e ai relativi scaglioni di reddito, che restringono dal 23 al 43% la tassazione diretta, con evidente sacrificio da parte dei redditi più bassi.
Gli elementi su cui si basa il concetto di capacità contributiva, secondo il diritto tributario, sono il reddito, il patrimonio e i consumi. Oggi delle persone fisiche viene tassato per lavoratori dipendenti e pensionati, in via anticipata, il reddito lordo, senza tener conto, se non in minima parte e in misura forfettaria, di oneri e spese rilevanti, incidenti sulla situazione personale dei contribuenti.
Attuando i criteri previsti dalla citata legge delega 825/1971, il sistema tributario sarebbe stato ben diverso dall’attuale, perché da un lato avrebbe rispettato gli articoli 2, 3, 23 e 53 della Costituzione, dall’altro avrebbe consentito di contrastare più decisamente l’enorme e crescente evasione fiscale, causa primaria della crescita del debito pubblico, che ha oggi superato il 120% del prodotto interno lordo.
L’attuale sistema fiscale, per come e’ concepito non solo incentiva l’evasione, ma finisce per legittimarla, garantendo impunità agli evasori. Inoltre il 90% dei reati fiscali va in prescrizione.
Rispettando invece il dettato dell’art. 53, si produrrebbe la redistribuzione della ricchezza a favore dei redditi medio bassi e si potrebbero incentivare i consumi, con benefici effetti sulla crescita e sull’economia nell’attuale fase di recessione.
I punti essenziali della proposta dell’ARDeP
Per invertire questa situazione, con conseguenti riflessi sull’economia, sulla lotta all’evasione fiscale e sulla riduzione del debito pubblico e sulle sue conseguenze devastanti sulla vita sociale, la riforma del fisco deve assumere queste linee d’azione:
1) applicazione dell’imposta IRE sul reddito complessivo netto conseguito dai singoli percettori, considerato nel suo effettivo ammontare e non in via presuntiva o forfettaria. Abolendo gli effetti diretti e indiretti degli studi di settore e in genere degli strumenti induttivi, emerge la piena conoscenza dell’effettiva capacità contributiva delle persone fisiche.
2) considerazione, ai fini della formazione del reddito complessivo, di tutti i redditi propri dei soggetti tassati, senza esclusione alcuna e a prescindere dalla loro natura;
3) deducibilità dal reddito complessivo di oneri e spese rilevanti che incidono sulla situazione personale del contribuente, allargando la gamma degli oneri attualmente deducibili per incoraggiare la richiesta, da parte dei consumatori, di scontrini fiscali e fatture. Tale misura verrebbe a sostituire completamente l’attuale sistema di detrazioni, che ammonta a oltre 40 miliardi di Euro.
Dovrebbero essere dedotte solo le spese primarie (alimentazione, abitazione, istruzione, salute, assistenza agli anziani, educazione dei figli) oltre quelle derivanti da prestazioni di servizi ad alto rischio di evasione.
Il sistema delle deduzioni dovrebbe mantenere all’imposta un carattere progressivo e dovrebbe essere riservato, in una prima fase sperimentale, in misura percentualmente maggiore ai redditi più bassi. A titolo di esempio: i redditi compresi tra 0 e 15.000 euro potranno detrarre il 90% delle suddette spese primarie, mentre i redditi superiori ai 75.000 potranno detrarre al massimo il 40%. Sulla base dell’effettivo andamento delle entrate fiscali, l’Agenzia delle Entrate, ex post, determinerebbe la percentuale di deducibilità da applicare;
4) aumento del numero degli attuali scaglioni di reddito con aliquote crescenti, perché le imposte assumano un carattere effettivamente personale e progressivo. Eventuale aumento del valore delle aliquote, se necessario a garantire l’invarianza del gettito tributario a base imponibile ridotta e a sforzo fiscale invariato;
5) valorizzazione delle buone pratiche esistenti in numerosi paesi dove il rapporto tra cittadino e fisco risulta essere sano e leale ( San Paulo del Brasile, Norvegia, Finlandia, Svezia) e dove l’uso delle nuove tecnologie e della rete permette al cittadino di interagire con il fisco, in termini di conoscenza, di controllo della propria posizione fiscale e di effettiva collaborazione con le persone professionalmente impegnate non solo a promuovere accertamenti e repressione dei reati, ma anche ad aiutare i contribuenti, rendendo più facili e ragionevoli i loro compiti.
Punti di forza : – aumento delle entrate fiscali IRE e IVA attraverso il passaggio da un SISTEMA DI COMPLICITA’ AD UN SISTEMA DI CONTRASTO D’ INTERESSe tra acquirente e e venditore, affinché il primo sia incentivato economicamente a chiedere l’emissione dei documenti fiscali.
– aumento conseguente del gettito di altri tributi (anche locali) per effetto dei controlli incrociati e della collaborazione tra Agenzia delle Entrate ed Enti Territoriali.
– redistribuzione del carico fiscale a beneficio dei redditi più bassi. “…necessità della esclusione dei redditi minimi dalla imposizione; minimi che lo Stato ha interesse a tenere sufficientemente elevati, per consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, che contribuisce al miglioramento morale e fisico delle stesse ed in definitiva anche all’aumento della loro capacità produttiva…”[3]
– crescita del potere di acquisto dei consumatori a partire da quelli meno abbienti
– aumento della domanda interna per consumi.
-Concorrenza meno sleale tra imprese e produttori, alcuni dei quali oggi, per effetto dell’evasione fiscale e contributiva, godono di evidenti vantaggi.. |
Punti di debolezza: – necessità di dotare l’Agenzia delle entrate di sistemi elettronici, in grado di trattare telematicamente i pagamenti con tracciamento valido ai fini fiscali.
– coinvolgimento del sistema bancario per introdurre all’interno delle transazioni effettuate tramite carte di credito e bancomat la registrazione del codice fiscale dei titolari delle carte stesse.
– comunicazione all’Agenzia delle Entrate, da parte del sistema bancario, dei dati identificativi dei pagamenti (codici fiscali dell’ acquirente e del venditore, aliquota IVA applicata).
– far crescere una maggior consapevolezza e coscienza civile tra i cittadini sulla necessità di contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, al sostegno dei servizi pubblici di cui tutti usufruiscono.
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Opportunità: – attuazione degli articoli della Costituzione, che implicano la presenza economica dello Stato e riconoscimento dei diritti presenti nella prima parte della Carta.
– maggior equità del sistema con la progressiva diminuzione dell’evasione fiscale attraverso l’ emersione di ricavi prima sconosciuti al fisco e l’aumento della base imponibile complessiva
– beneficio sui saldi di bilancio (deficit) e sul conseguente contenimento e riduzione del debito pubblico. – rilancio dell’economia e dello sviluppo del Paese attraverso l’aumento dei consumi che i percettori di redditi più bassi hanno necessariamente dovuto contrarre per effetto della crisi recessiva in atto.
– riduzione, a regime, della pressione fiscale che ha ormai raggiunto livelli insostenibili e che costituisce limite ai consumi e investimenti privati
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Minacce – utilizzo di documentazione fiscale falsa: tanto minore quanto maggiori ed efficaci saranno i sistemi elettronici necessari a garantire la piena legalità del sistema. |
I cinque passi che ho sinteticamente illustrato costituiscono l’ossatura della nostra proposta per un fisco giusto ed equo in grado di far ripartire l’Italia.
Constato con amarezza che il neonato disegno di legge sulla delega fiscale adottato dal governo il 14 aprile ( ma che prendera’ l’effettivo avvio solo dopo nove mesi dalla sua approvazione in parlamento) non va in questa direzione. Esso si sofferma sui principi di EQUITA’ e di razionalizzazione ma secondo una redistribuzione del prelievo che lo stesso governo dichiara “rimanere confinata all’interno dei singoli comparti”. Cosi’ avviene per la tassazione sugli immobili con la riforma del catasto, per la tassazione dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo e relative agevolazioni fiscali, che comportera’ aumenti o riduzioni sui singoli contribuenti, rimanendo tuttavia invariato per il complesso di tali tipologie di contribuenti il carico fiscale. Questo equivale a dire che la stessa cosa avverra’ per lavoratori dipendenti e pensionati. E quindi si prevede un sistema fortemente ingessato all’attuale situazione di redistribuzione alla rovescia.
L’EVASIONE: il governo solo con i decreti legislativi da emanare entro nove mesi dall’approvazione della legge introdurra’norme per definire metodi di rilevazione dell’evasione riferita ai principali tributi. La credibilita’ di tali norme viene meno quando si prevede di istituire una Commissione presso l’ISTAT.
Viene introdotto nel linguaggio tecnico un nuovo termine : le spese fiscali che identificano ogni forma di esenzione esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta. Anche per esse viene istituita una Commissione che dovra’decidere come ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali ingiustificate o che appaiono superate alla luce delle mutate esigenze economiche e sociali. Il fondo che serviva inizialmente per destinare il gettito del recupero dell’evasione alla riduzione della pressione fiscale e’ stato stralciato.
E’amaro constatare che il provvedimento manifesta palesemente l’intenzione di non andare nella direzione di una riforma che si ponga innanzitutto nell’alveo costituzionale e che si dimostri capace di produrre quei risultati auspicati dai cittadini onesti di una redistribuzione piu’ equilibrata del carico fiscale tra le diverse categorie. Ma soprattutto delude il passaggio che riguarda l’evasione . attraverso una efficace e immediata sua repressione. Nell’auspicio che il Parlamento ne attui una profonda revisione noi continueremo la nostra battaglia per una rivoluzione fiscale costituzionale.
La presente proposta si pone lo stesso obiettivo, per una questione di rispetto della democrazia, dell’equità e della solidarietà tra cittadini, al fine di far diventare il nostro un Paese più giusto e civile.
[1]On.le Scoca, seduta Assemblea Costituente del 23 maggio 1947.
[3]On.le Salvatore Scoca, verbale seduta assemblea costituente 23/5/1947.